Quando il papà scriveva: “Ecco i miei ragazzi”

LA TRAGEDIA DI SABBIONETA • La madre dei tre figli su Facebook: «Eri un angelo, ti porterò sempre nel cuore» 


di Enrico Galletti 

“Vi comunichiamo che io e mia moglie Silca aspettiamo il terzo figlio”. E’ ancora lì, fissato nelle colonne di Facebook, il post di Gianfranco Zani, artigiano, 53 anni, la vita scandita dal lavoro e da quell’odio, vero o presunto, nei confronti della sua famiglia che dopo l’ultima aggressione se ne era andata via di casa e aveva ritrovato la serenità. Il 2 maggio di qualche anno fa, su Facebook, Gianfranco aveva annunciato la nascita del terzo figlio. Lo avrebbero chiamato Fabio, lui e sua moglie Silca, che a quel post, ancora pubblico e adesso intriso di dolore, aveva commentato nel modo più semplice, come fanno tutte le mogli a tutti i mariti. Una frase secca: “Ti amo, amore mio”. Sotto, una dopo l’altra, le congratulazioni. Gli amici, i colleghi, le frasi dolci dei parenti. E qualche giorno dopo, sempre lì, una serie di foto che non lasciavano alcun dubbio. Il letto appena costruito su misura per accogliere il terzo figlio, una panoramica del salone coi bimbi che giocano allegri, sul pavimento e la scritta: “I miei ragazzi”. Dietro ad ogni scatto c’è papà Gianfranco, ora coricato sul divano con il piccolo in braccio, ora a fotografare sua moglie seduta al tavolo prima di cena. Un copione ben scritto. Prende il telefono, fotografa, posta. E non c’è niente, neanche un indizio, che solo lontanamente lasciasse prevedere che qualche giorno dopo Gianfranco avrebbe mandato tutta la famiglia all’ospedale. E’ successo a fine luglio, quando ad avere la peggio era stato il figlio più gran- de, Alex, 17 anni, aggredito, picchiato e colpito alla testa. Agli inizi di novembre, poi, un’altra aggressione. Solo l’ennesima, che questa volta però aveva convinto Silca a prendere i suoi figli e ad andarsene via, in una struttura protetta lontano da casa. Solo quattro giorni fa, Gianfranco riceve il divieto assoluto di superare i cento metri che delimitano la casa. Ed è questo, forse, che spinge la donna a tornare a Ponteterra, alle porte di Casalmaggiore, nella villetta di famiglia insieme ai bimbi, che finalmente possono sentirsi al sicuro. Dopo tre giorni, però, succede l’impensabile. Il fumo che esce dall’abitazione nel tardo pomeriggio di giovedì, le sedici scoccate da mezz’ora e i primi segnali d’allarme. Cinico e lucido, forse con un copione già scritto, Gianfranco, secondo una prima ricostruzione, si sarebbe precipitato a casa appiccando un incendio. La mamma dei bimbi non c’è, in quegli attimi, in casa c’è solo il figlio Marco, il mezzano dei tre. E’ in camera sua dove viene travolto dalle fiamme, incastrato in quel muro di fuoco che solo gli agenti, più tardi, riusciranno a domare. A quel punto rientra a casa Silca, di ritorno dal campo sportivo, dove aveva accompagnato i due figli a giocare a calcio. Ancora in auto vede il fumo attraversare il tetto e il marito, dal quale si stava separando, fuggire via. Lui la sperona con il furgone. Poi fugge, macina chilometri e scappa lontano, lo prenderanno i carabinieri dopo un lungo inseguimento. Il piccolo di 11 anni rimasto intrappolato in cameretta viene prelevato dagli operatori del 118, che provano inutilmente a rianimarlo, mentre dalla casa ancora esce il fumo provocato dal rogo. Il massaggio cardiaco è vano, il piccolo Marco non respira più, vola via. Sua madre, il giorno dopo, scriverà su Facebook tre parole, a caldo, colme di rabbia: «Maledetto, brucia all’inferno». Poi un pensiero per il figlio: «Riposa in pace, cucciolo bel- lo. Eri un angelo, la mamma ti porterà sempre nel cuore». E la foto che lo ritrae sorridente. Come quella sera di qualche giorno fa, quando Silvia, in un altro post, aveva lasciato intendere: “Peccato non tutti i bimbi abbiano la fortuna di avere un papà dolce”. In attesa della convalida dell’arresto per omicidio volontario (probabilmente lunedì si terrà l’udienza di convalida del fermo), Gianfranco, che ieri sera, spiega il suo suo legale Fabrizio Vappina, si è dichiarato innocente, viene tradotto in carcere a Cremona e di fronte alla casa in via Tasso resta una gran folla. C’è il via vai di chi, sgomento, non riesce ancora a crederci. I carabinieri di Viadana pongono i sigilli al cancello della villetta, nelle prossime ore si farà chiarezza. Ce l’aveva con la moglie, si continua a dire. “Voleva ammazzare lei”, si mormorerà prima che a Ponteterra cali il buio della seconda notte dopo la follia. 

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