POLITICA • Al momento della firma, la titubanza del M5S spinto dalla protesta del Sud. Parla il senatore cremonese
di Vanni Raineri
Quando la discussione scende in piazza, emergono le posizioni ultrà, quelle più urlate. E’ quel che accade anche ad un argomento nobile come quello dell’autonomia. Da anni se ne discute, da diversi mesi, a seguito dei due referendum del 2017 in Lombardia e Veneto, si ripetono incontri tra i governi dei diversi livelli: per la Lombardia prima Maroni col governo Gentiloni, poi Fontana col governo Conte. E’ stato anche creato un ministero ad hoc, quello degli Affari Regionali e delle Autonomie, in capo ad Erika Stefani. Il tema tra l’altro è parte integrante del contratto di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle, ma al momento della firma ecco che si sono scatenati i consueti dubbi: ma si rischia di spaccare l’Italia? I ricchi saranno sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri? Sarebbe il primo passo per spaccare il Paese come avviene in Spagna? E così ecco anche in tv da una parte chi accusa i nordisti di egoismo e chi i sudisti di assistenzialismo, e via con la raffica di insulti social.
La base è quella degli artt. 116 e 117 della Costituzione, modificati ai tempi del governo Pd, che disciplinano il regionalismo differenziato: chi ritiene di essere in grado di risparmiare sui servizi (ma solo nelle materie concorrenti indicate, al massimo 23), se li accolla, a saldo zero per lo Stato, e gli eventuali risparmi li reinveste. Lombardia e Veneto hanno chiesto tutte e 23 le materie, l’Emilia Romagna (senza passare dal referendum consultivo) per ora 15.
Che il tema sia nobile lo dimostra l’articolo 5 della Costituzione: “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”.
Il punto è inseguire il criterio di responsabilizzazione fermo restando il sostegno a chi ha bisogno, ma rendendo tale sostegno trasparente in modo da evidenziare sprechi e corruzione. La Lega spinge per la firma, il M5S, i cui parlamentari sono eletti in gran parte al sud, teme un nuovo calo di consensi. Dell’argomento parliamo col senatore cremonese della Lega Simone Bossi.
«Per prima cosa – afferma Bossi – non abbiamo un vademecum sul tema dell’autonomia: dalla presenza del nuovo ministero partiamo con questo nostro storico progetto che portiamo avanti perché da lì nasciamo. Dopo che le due regioni hanno fatto il referendum, si sono aggiunte altre regioni che chiedono come noi l’applicazione del comma 3 dell’art. 116 che norma la facoltà di chiedere maggiore autonomia nelle materie concorrenti. Se i trasferimenti che le regioni danno allo stato mantengono il costo storico, vedendo i costi reali si possono applicare i costi standard, e così si comprendono le esigenze di spesa reali. Da qui il mandato ai governatori di fare bene il loro lavoro per dare una risposta ai cittadini».
L’applicazione dei costi standard stanerà gli sprechi inchiodando gli amministratori alle loro responsabilità. Non è che qualche amministratore rema contro anche per questo?
«Ci sono personaggi che avranno difficoltà a giustificare certe scelte, d’altra parte ci sono regole da rispettare. Se fai l’amministratore e amministri male ne devi rispondere agli elettori, saranno loro a chiedere conto. E’ chiaro che l’Italia procede a due velocità diverse: dobbiamo capire come fare a migliorare le cose».
Difficile pretendere una buona gestione da chi non sa accedere ai fondi europei, o non vuole in quanto sono più difficilmente oggetto di scambio.
«Lo so bene (Bossi è vice-presidente della Commissione permanente sulle politiche dell’Unione Europea, ndr) che utilizziamo un ventesimo di quei fondi. Uno dei motivi può essere questo, anche perché se non li spendi correttamente ti ritrovi davanti alla Corte Europea».
Spieghi a un lombardo perché l’autonomia gli conviene.
«Faccio l’esempio della sanità, che oggi assorbe l’85% del bilancio lombardo, mentre la differenza deve bastare per tutte le altre funzioni. Se avessimo la possibilità di controllare la spesa sanitaria adattandola ai nostri standard, miglioreremmo i conti, e avremmo così la possibilità di spendere più soldi su altri capitoli».
Ma perché ogni volta che se ne discute, questo tema spacca il Paese?
«Speriamo che stavolta non sia così. Siccome, come detto, non abbiamo un vademecum, ce ne stiamo occupando noi».
Chi vuole l’autonomia cita spesso gli articoli riformati, ma anche l’articolo 5 è emblematico.
«La Costituzione è spesso citata a orologeria: la si cita quando fa comodo, altrimenti si parla d’altro. Autonomia è una parola bellissima quanto lo è libertà».
Veniamo al Movimento 5 Stelle, che localmente ha promosso con voi i referendum, ma sembra che il vento a Roma sia cambiato.
«Io invece penso che siano persone serie e che mantengano la parola data, e penso anche che sia giusta la discussione che sta nascendo nelle varie commissioni, per il fatto che parliamo di un argomento davvero importante. Se servono passaggi che vanno approfonditi, meglio perdere 10 giorni in più che farlo in fretta».
Dieci giorni? Qualcuno parla di diversi mesi. E questo scambio di veti tra voi e loro è un’invenzione dei giornalisti?
«Di invenzioni giornalistiche ne vedo tante ogni giorno, ma di guerre tra noi se ne fanno poche».
Infine, è ottimista sul buon esito?
«Sì, perché conosco il ministro Stefani che è preparata, caparbia, e se si è presa l’impegno di portarla a casa lo farà».
Pare abbia anche minacciato le dimissioni...
«No, è brava, si fidi».
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