Immor(t)ale Vasco

ALBACHIARA? PER ANNI FU SCONOSCIUTA 
IL ROCKER DI PROVINCIA CHE HA FATTO IL RECORD NEGLI STADI 


Federico Pani - Vanni Raineri
MILANO - Alle 23.30 in punto, quando la musica finisce, si accendono le luci su San Siro e lo stadio, ordinatamente, si svuota. Ragazzi, coppie, qualche solitario; tante amiche e amici di mezza età; famiglie e qualche bambino. Certe facce sono stravolte, altre sorridenti; c’è chi canta ancora, chi se ne va in silenzio e chi intona cori; e chi proprio non ce la fa a non piangere. Quasi tutti hanno una sciarpa, una maglietta, un cappellino col suo nome. Non si potrebbe trovare un campione migliore della cosiddetta “gente”. Anche se, per una sera, quelle 60mila persone sono un’altra cosa: sono il popolo di Vasco. E lo spettacolo è anche lo stadio stracolmo fino agli ultimi anelli, i boati, il pubblico che – sulle note di “Vivere” – sembra un immenso cielo stellato, trapunto di telefonini accesi. Sei date, tutte a San Siro e tutto esaurito. Un altro record. A due anni dal raduno di Modena Park, che ha regalato al cantante di Zocca il pubblico pagante più numeroso della storia, Vasco fa il pieno con il “Vasco non stop live 2019”: 350mila spettatori. E dopo mercoledì scorso, ultima data di Milano, sarà a Cagliari il 18 e 19. Ma torniamo a mercoledì. Il palco è enorme, le luci impazzano e sugli schermi si susseguono sfondi strepitosi. I musicisti suonano infuriati. E poi, Vasco. A cui è difficile chiedere di stare fermo per più di un secondo e sarebbe impossibile levargli quel sorriso che lo accompagna fino all’ultima canzone. Pause, Vasco, se ne concede; ma non si risparmia nel cantare a squarciagola: niente male per uno che ha l’età di chi aspirerebbe solo ad arrivare a quota 100. Nella scaletta, che pesca da album lontani tra loro nel tempo, come è normale per chi ha da poco festeggiato i quarant’anni di carriera, stupiscono (e spiazzano) gli arrangiamenti durissimi di “Cosa succede in città”, “Fegato fegato spappolato” e “Portatemi Dio”. Ci sono pause delicate come “Domenica lunatica”, “Tango della gelosia” e “Canzone”, cantata con la nuova corista e poli-strumentista, Beatrice Antolini. Il momento più trasgressivo è “Rewind” con i seni al vento ben inquadrati negli schermi. Se, come è normale, scoppia il boato quando il bassista Claudio Golinelli, detto il “il Gallo”, comincia il giro di basso di “Siamo solo noi”, o il tastierista Alberto Rocchetti dà il via a “Vita spericolata”, il vertice Vasco lo tocca con “Sally”, immerso in una luce blu, mentre canta proteso verso il pubblico; e con la voce è come se guardasse negli occhi tutti quanti. Con “Albachiara”, come sempre, lo spettacolo finisce tra i fuochi d’artificio. “Siete solo voi”, “Ce la farete tutti”, “Vorrei abbracciarvi tutti”; saluta così, Vasco. Sono lontani gli anni del rock sudato, delle canzoni-sberleffo che strizzavano l’occhio a una vita irregolare, alle sbornie e a qualche droga – capitolo, quello delle droghe, su cui si è inutilmente esagerato -. Ad accadere, invece, è un rito collettivo, dove ciascuno rivive emozioni precise, legate a canzoni con cui è consapevole di avere un rapporto personale, unico. Tutti riescono a sentirsi speciali, ed è per questo che sono così grati a Vasco. E sono pronti, la mattina dopo, per sedersi alla scrivania e tornare al lavoro con un pizzico di speranza in più, grazie a quelle canzoni in testa che parlano proprio a loro e della loro vita.


L’esplosione del fenomeno Vasco Rossi ha una data precisa, e risale alla primavera del 1983. Fino a Sanremo ’82 (“Vado al massimo”) era un fatto regionale. “Albachiara” fu incisa nel ’79, ma è rimasta per anni conosciuta solo dalla sparuta schiera dei primi fans. Il cerchio si allarga con l’album “Colpa d’Alfredo” e con il quarto, “Siamo solo noi”. Nel febbraio 1982 Vasco esordisce a Sanremo con “Vado al massimo”, che dà il titolo a un album che contiene altri pezzi storici (“Ogni volta”, “Canzone”): stupisce il pubblico per la sua performance stravagante, che scandalizza i più ma esalta parecchi giovani per l’attitudine rock. Nel febbraio ’83 Vasco torna a Sanremo con “Vita spericolata”. Arriva penultimo, ma parte da lì un’escalation incredibile. Settimana dopo settimana, Vasco si trasforma da cantante per una fascia limitata di fans a vera e propria icona rock. Il 14 aprile 1983 esce l’album dei record, “Bollicine”, che resterà in classifica 35 settimane. In estate vincerà il Festivalbar e... il resto lo sappiamo. Il mio primo ricordo di Vasco risale al 1980. Era appena uscito l’album “Colpa d’Alfredo”, che per me e per i miei amici era la colonna sonora estiva che ci accompagnava sugli spiaggioni del Po, vicini a quella terra emiliana da cui Vasco proveniva ed era già più noto. Ho visto 4 concerti di Vasco, tra tutti l’83 e l’87. L’ultimo fu quello di piazza del Comune a Cremona, quello della polemica con la Curia per il discusso utilizzo della piazza per un concerto rock. In quei 4 anni il suo pubblico era cambiato, forse troppo per i primi accaniti suoi fans. Ma il mio ricordo più bello resta quello del 25 aprile 1983. L’album “Bollicine” era uscito solo 11 giorni prima, e Vasco sul palco del Marabu, discoteca di Reggio Emilia, si esibì davanti a qualche centinaio di persone presentando tra le prime volte dal vivo brani quali la title track, “Una canzone per te” e appunto “Vita spericolata”. Con lui c’era la band degli esordi, che di lì a poco cambierà. Alle chitarre Maurizio Solieri e Massimo Riva (che Vasco lanciò letteralmente sulle prime file strappando i fili elettrici), al basso non più Andrea Righi (e non ancora Claudio Golinelli) ma Rudy Trevisi (nessuno lo vide mai in faccia: rimase per due ore a testa bassa, quasi in trance; Rudy se ne è andato due anni fa, mentre Riva ci manca ormai dal 1999), alle tastiere Mimmo Camporeale e al sax Andrea Innesto. Conservo ancora il biglietto di quella splendida serata, al momento lo feci soprattutto per la conoscenza di una morettina. Ma questa è un’altra storia. Potrei venderlo? Mai, ma non ci farei un euro. Infatti il nome di Vasco Rossi non è nemmeno scritto sul biglietto: c’è solo il nome della discoteca col numero di serie di ingresso; il nome di Vasco l’ho scritto io sul retro, a biro. Era il 25 aprile ’83: in fondo ognuno ha la sua Liberazione.

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