«Troppo odio, lascio il gruppo dei cremonesi»



IL CASO • Davide Monteverdi, amministratore di “Non sei cremonese se”: «Minacce dagli espulsi, torno alla vita vera»

ENRICO GALLETTI
Per quattro anni, ininterrottamente, ha controllato ogni singolo post. Non c’era contenuto, sulla pagina di “Non sei Cremonese se...” su cui lui, Davide Monteverdi, 49 anni, dj di professione, non avesse ragionato attentamente. Un’istituzione, quel gruppo Facebook, sia per chi ricorda la Cremona del cinema Tognazzi e delle vasche in Galleria XXV Aprile, sia per chi la città del Torrazzo la vive oggi. Diciassettemila membri in un gruppo nato alcuni anni fa da un’idea di Lu Bertolini e Stefano Guindani. Tutto ciò che accade a Cremona oggi passa di lì: lavori pubblici, nuove aperture, presenze sospette. Nascono delle amicizie, ci si scambia dei consigli. A volte la situazione degenera, nascono dei litigi, si prendono provvedimenti. Dinamiche inevitabili, nell’era dei social, da qualche tempo però diventate più insistenti. E così, sulla pagina, in settimana è arrivato il messaggio di Monteverdi, una delle “anime” della community: “Cari cremonesi, dopo una notte di riflessione la decisione è presa: oggi è il mio ultimo giorno come amministratore e membro del gruppo. Vi ringrazio per questi anni incredibili, ma la vita reale mi chiama e io desidero risponderle. Un abbraccio a tutti, sapete dove trovarmi». 
Monteverdi, tu eri una presenza di spicco all’interno del gruppo, ora hai mollato l’incarico. È così?
«Sì. Ho accettato di diventare uno degli amministratori di Non sei cremonese se... in un periodo particolare, ero reduce da un’esperienza in Messico. Mi sono ripromesso che avrei utilizzato il gruppo per creare un’onda positiva. Vedo Cremona ferma, l’idea era riuscire, con i post di chi ci vive ogni giorno, a valorizzarla di più. Poi le cose sono diventate enormi: passavo le notti su quel gruppo. Ma non si poteva più andare avanti». 
Facciamo un passo indietro. Di cosa ti occupavi, concretamente? 
«Leggevo ogni singolo post pubblicato dagli utenti, verificavo che il contenuto non violasse mai le regole che ci eravamo imposti. Quando beccavo qualcuno in fallo lo contattavo e lo richiamavo alle regole fondamentali, quelle base: rispetto, gratitudine e civiltà. Poi la faccenda ha preso una brutta piega».

In che senso? 
«Anche le discussioni più tranquille diventavano un pretesto per litigare. Avevo il dovere di difendere i diciassettemila membri. Ho cominciato a bannare gli utenti irrispettosi, che offendevano e oltrepassavano il limite. A quel punto sono arrivate le prime minacce. Un utente che ho cancellato dalla community perché non accettava il pensiero degli altri e diventava violento ha cominciato a scrivermi in modo compulsivo. Ha creato diciannove profili falsi per importunare me e gli altri membri. Un giorno me lo sono trovato fisicamente sul posto di lavoro. Mi accusava di avergli rovinato la vita...».

Eppure tu in quel progetto hai continuato a credere.
«Certo. Quel gruppo è una potenza: risolve i problemi per davvero. Se tu segnali qualcosa che non va a Cremona, dopo due giorni ti chiamano a casa e ti chiedono qual è il problema. Pensa che un assessore, sapendo che ero io a controllare i post, mi ha dato il suo numero chiedendomi di chiamarlo appena mi accorgevo di qualche disservizio. È così che si fa comunità».

C’è qualche episodio positivo che ricordi? 
«Sono tantissimi. Ad esempio quel giorno in cui tramite un post siamo venuti a conoscenza che sotto il cavalcavia del cimitero vivevano due ragazzi senzatetto. Su Non sei cre- monese se..., grazie all’a- zione di un cittadino, è partita una raccolta di beni di prima necessità e si mo riusciti a toglierli dalla strada e a farli entrare nelle case popolari. L’idea era quella: portare del buono in città. La piega che non volevo prendesse la community era quella dello scontro. E invece...»

Le minacce riguardavano solo te o anche alcuni membri del gruppo? 
«Non ero l’unico ad essere importunato. C’è stata una persona di una certa età che stalkerizzava la gente. È stata bannata perché voleva entrare a tutti i costi nella vita delle persone: riusciva a procurarsi numeri e indirizzi precisi degli utenti, poi si presentava a casa loro. Ho bloccato diversi numeri di telefono che usava per chiamarmi. La verità è che non si è mai pronti a vedersela con queste situazioni»

Qual è la causa di queste dinamiche, secondo te? 
«È il clima dei social ad essere così. Farne parte è come avere in mano una pistola, puoi rovinare la vita a qualcuno. Io sono sempre stato un assertore della grande opportunità di internet, ti dà la possibilità di creare legami, connessioni e movimenti “dal basso”. Guardiamo le sardine, ad esempio. Loro nascono in quell’ambiente lì, hanno usato uno strumento forte, si sono fatte largo sui social»

C’è anche un po’ di cattiveria, alla base di tutto? 
«Forse sì, c’è il carattere diverso delle persone. In molti commenti ho colto la frustrazione, il pessimismo, il pensiero autodistruttivo predominante». 

Corriamo il rischio di essere contagiati da questo nuovo clima d’odio? 
«Io parlo per me. Nonostante tutto quello che ho letto sono felice, amo la vita. E mi chiedo: perché i social non possono diventare uno strumento per dire questo? Perché la verità è che le notizie cattive, il pessimismo e il terrore sono i contenuti che fanno breccia oggi»

C’è qualcuno che dopo essere stato eliminato dal gruppo si è scusato? 
«Di solito quando elimini una persona non ti scrive per scusarsi, ma per chiederti come ti sei permesso. Comunque, per fortuna, è successo che qualcuno si scusasse. E con alcuni è nato un legame nella vita reale. Prendi uno dei miei amici più stretti: se ti dicessi che in passato l’ho buttato fuori dal gruppo almeno tre volte...»

Sei andato avanti quattro anni, però. Significa che prima gli insulti non ti segnavano? 
«Ultimamente ci restavo male. Andare al bar e trovare gente con un conto in sospeso cominciava a influenzarmi. Un ragazzino, bannato per aver violato il regolamento, di recente in privato mi ha scritto che sono il cancro. Basta, come esempio?»

Però c’era anche chi ti ringraziava.
«Per fortuna sì. Ed erano davvero tantissimi a dirmi, con la loro semplicità, “grazie di esserci”. Ce lo scrivevano quando risolvevamo i problemi».
Ti mancherà un po’ quel gruppo? 
«Sicuramente andrà avanti e sono contento così, ma questa parentesi andava chiusa. In rete oggi c’è bisogno di gente con voglia di confrontarsi, che non abbia problemi nella gestione dell’emotività. In questi anni ci ho messo tanta energia, davvero, è stata un’esperienza positiva, ma avevo esaurito la mia funzione»

Non hai mai pensato di denunciare chi con il suo odio ha rovinato tutto? 
«Avrei potuto querelare decine di persone, ma non l’ho fatto. Faranno i conti con la loro quotidianità: sarà il vigile urbano a multarli e il giudice, un giorno, a processarli. La vita rimette tutti nella propria carreggiata».

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