A LUGLIO • Alini, infermiere cremonese, è stato ricoperto d’odio per l’appello scritto in piena estate
Accusato di allarmismo, messo alla gogna sui social. Luglio 2020, piena estate. Luca Alini, di ritorno da una giornata in corsia (fa l’infermiere all’Ospedale Maggiore di Cremona) apre Facebook e scrive un lungo post. Di getto, come uno sfogo. Le immagini che ha nella mente, quelle dell’ospedale della città preso d’assalto dai pazienti Covid da intubare, sono forti. Sono passate poche settimane dai giorni più critici dell’emergenza, quelli dei camion dell’esercito con le bare per le strade di Bergamo, dei morti accatastati e in attesa di cremazione. Ecco perché Alini, che fa l’infermiere da trent’anni, decide di scrivere un messaggio a tutti, che poi farà il giro del web, in cui - in pieno periodo di ferie - ricorda che «il coronavirus non si è dimenticato di fare il suo lavoro». Lo fa perché - spiega - «in reparto abbiamo ricominciato a ricoverare pazienti Covid» anche se «la cosa è limitata, non come a febbraio o marzo o all’inizio di aprile. Solo - aggiunge - che la maggior parte delle persone ormai pensa al mare, alla montagna, all’aperitivo con gli amici, alla gita del weekend».
Passano poche ore. Lo sfogo di Alini, pubblicato insieme a un selfie in mascherina, ottiene migliaia di condivisioni e di “likes”. Poi, dal giorno alla notte, finisce nel mirino degli utenti che accusano l’infermiere cremonese di avere «mentito», di essere «un bugiardo» e «una m...», e di aver contribuito a «diffondere il terrore». Il tutto dopo una precisazione arrivata dall’Asst, nella quale il direttore sanitario della struttura cremonese, Rosario Canino dice: «La premessa d’obbligo è che siamo lontani anni luce dalla crisi di marzo-aprile. Possiamo definirla una situazione abbastanza tranquilla, attenzionata ma tranquilla. Abbiamo avuto dei ricoveri, in tutto parliamo di 10 pazienti, 8 in Malattie infettive e due in Pneumologia. Di questi ultimi solo uno è in ventilazione non invasiva col casco. Le condizioni di tutti sono stabili e non c’è preoccupazione né si deve fare allarmismo». Quella stessa sera, un paziente verrà trasferito in terapia intensiva, costringendo a riaprire le porte della rianimazione dopo giorni.
Alini, nel suo post, precisava che la situazione di luglio non fosse minimamente paragonabile a quella di marzo, ma l’ondata di odio continua. E con lei, in piena estate, quando l’illusione di molti è stata quella di essersi lasciati alle spalle il virus, parte l’assalto al profilo Facebook di Luca, che dopo qualche ora e dopo migliaia di insulti e minacce deciderà di autotutelarsi nascondendo il post diventato virale e lasciandolo visibile e commentabile solo dagli amici. Addirittura, dalle colonne di Facebook, insieme agli insulti («Fai schifo», «buongiorno con un bel vaffa», «patetico», «sei da denuncia», «terrorista», «datti fuoco», «uomo di m...») parte una petizione rivolta alla direzione dell’Ospedale di Cremona, che chiede di licenziare in tronco Alini. L’infermiere, che non ha mai replicato agli insulti, spiegherà in un’intervista al Corriere della Sera: «Una settimana prima avevamo liberato Pneumologia dall’ultimo paziente. Sette giorni dopo ne abbiamo ricoverati due, di lì a poco i degenti sono diventati dieci in tutto l’ospedale. Ho scritto quelle righe di getto alle dieci di sera prima di tornare a casa, le ho pubblicate. Volevo che la gente ci aiutasse rispettando regole e distanziamento. L’incubo è uno: vivere la stessa situazione un’altra volta». Ora che l’incubo è di nuovo tra noi, quelle parole, totalmente fraintese da molti, tornano a fare capolino. Aveva ragione Luca. E forse, in quel richiamo alla responsabilità, andava sostenuto.
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