Asola, il caso fa discutere

COMMERCIO • Pochi imitatori per il ristorante “4 Strade” che ha riaperto come mensa

Vanni Raineri
Ha suscitato grande interesse il nostro articolo pubblicato sul numero di sabato scorso relativo al ristorante di Asola (Mantova, ma ai nostri confini) che ha deciso di tenere aperto sfruttando il servizio mensa, semplicemente grazie alla modifica del codice Ateco (che classifica le attività economiche). I titolari del ristorante-pizzeria “4 Case” hanno anche pubblicizzato sulla propria pagina Facebook la possibilità di fare pranzi di lavoro (per il resto il ristorante rimane chiuso di sera e nel weekend) per chi firma una convenzione, sia da lavoratore dipendente che da titolare di partita Iva, per un servizio continuativo alla stregua di quelli offerti proprio dalle mense.
Diversi portali online hanno ripreso la notizia, alla quale ieri anche il Corriere della Sera Milano ha dedicato un’intera pagina. A leggere non sono stati però solo i colleghi, ma anche chi è deputato a controllare il rispetto del Dpcm. I titolari del ristorante hanno infatti ricevuto martedì la visita degli agenti di polizia locale, e mercoledì (su invito della Prefettura) dei carabinieri, tutti tesi a verificare giustamente il rispetto della normativa. Anche dopo i controlli chi gestisce il locale ha continuato a mostrarsi certo di aver rispettato le indicazioni e quindi a ritenersi al sicuro da sgradite sorprese.
Il ristorante di Asola ha ben 21 dipendenti, ad effettuare il pagamento dei pranzi non è il dipendente, ma l’azienda per cui lavora, mentre può pagare il professionista in possesso di una partita Iva. L’area interna è molto ampia, ma le prenotazioni (obbligatorie) si fermano una volta raggiunti gli 80 posti a sedere.
Intanto l’esempio del “4 Strade” sembra sia stato imitato da qualche altro locale, ma in numero molto limitato. E’ il caso, come ha riferito mercoledì Tgcom, di un ristorante di Almeno San Bartolomeo (BG), e sembra che un altro caso simile si sia verificato in Toscana.
E a Cremona? Per il momento il caso ha suscitato curiosità ma non, pare, la voglia di imitarlo. Sta di fatto però che alcune associazioni che raggruppano gli esercenti stanno valutando, con l’aiuto di studi legali, la possibilità di far valere diritti arginando le chiusure forzate. Un’attenzione a 360 gradi, nel senso che non riguarda i soli ristoranti ma un po’ tutti i negozi. Negozi che tra l’altro non accolgono tutti con favore l’imminente passaggio da zona rossa a zona arancione: è vero che potranno aprire, ma i limiti entro cui dovranno agire e, sull’altro piatto della bilancia, l’azzeramento dei ristori preoccupano non poco.
Nel frattempo Confartigianato Cremona e Crema, Confesercenti, Cna, Confcommercio, Asvicom Cremona e Crema hanno prodotto un documento congiunto molto articolato presentando richieste unitarie delle associazioni del commercio e dell’artigianato alle istituzioni e ai rappresentanti territoriali. Sono 10 richieste, tutte approfondite: riaffermare il diritto al lavoro, evitare gli errori del passato per tornare alla normalità e non affossare il Paese, accelerare sulle soluzioni sanitarie, dare indennizzi adeguati ai costi e sostegno al credito, superare i nodi della fiscalità e della burocrazia, riservare attenzioni particolari ai settori più colpiti, porre il tema del lavoro e della crescita, il sostegno al credito, fiscalità locale e ripartire dalle città (e la tassa sul web). Infine, si chiede la riapertura immediata di tutte le attività, sia pur con le dovute precauzioni, 7 giorni su 7 con orario continuato, lo spostamento del coprifuoco alle 23, plateatici gratuiti per bar e ristoranti con funghi per riscaldare, spostamenti dei cittadini tra comuni della stessa provincia, favorire la sosta nei centri urbani, moratoria fiscale e una politica di risarcimento dei reali danni e non “ristori elemosina”.
Dall’aria che tira, un appello destinato a cadere nel vuoto.

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