Giorgio Meirs, un Doyle con un tocco di gotico

 

GRANDI DIMENTICATI • Il suo primo romanzo poliziesco fu “Il cadavere assassino”: introvabili le prime due edizioni

ALESSANDRO ZONTINI
Talvolta anche una mostra, più ascrivibile al novero delle curiosità culturali che non all’ambito di quelle grandi e celebratissime esposizioni che richiamano centinaia di migliaia di persone, offre lo spunto per il recupero di opere che, da tempo, giacciono sui polverosi scaffali dell’oblio ove, dimenticati, attendono “grandi” della letteratura in attesa di una loro doverosa riscoperta.
A ottant’anni dalla nascita e a dieci anni dalla scomparsa, nel 2013, l’”Associazione italiana design della comunicazione visiva” ha voluto omaggiare un famoso disegnatore italiano: Guido Crepax. Nato nel 1933 e mancato ai vivi nel 2003, Crepax è ricordato sia quale “creatore” di Valentina, il suo più celebre personaggio comparso sulle pagine della rivista “Linus” e, in seguito, su “Corto Maltese” ma, anche, di innumerevoli illustrazioni realizzate per dischi, libri, manifesti ed altro ancora.
Allo stesso Crepax, in quell’occasione, vennero dedicate a Milano ben tre mostre. La prima di queste, di indubbio singolare interesse, indagava un segmento poco noto dell’attività di questo poliedrico autore, offrendo in visione al pubblico i circa 200 volumi della collana “I nuovi Sonzogno”, serie ondivaga e dedicata all’avventura in tutte le sue declinazioni (e, quindi, anche quelle “gialle”, quelle “western” etc.), le cui copertine erano state realizzata dal giovane, ma non per questo meno valente, autore. Collezionare tutta la collana Sonzogno è impresa indubbiamente affascinante (e meritoria) ma assai ardua non solo per il gran numero dei volumi editati (le cui copertine sono sempre impreziosite dagli interventi di Guido Crepax) ma anche perché molti “titoli” si sono fatti, nel tempo, sempre più rari. Tirature basse? Poco interesse dimostrato dal pubblico che cercava in libreria ed in edicola solo specifici autori, trascurandone ingiustamente altri? Non sappiamo.
Alcuni titoli proposti da Sonzogno (spesso autentici capolavori semi sconosciuti) sono ancora reperibili sul mercato dell’usato, seppur con qualche difficoltà, e costituiscono, spesso, un valido surrogato alle edizioni originali impossibili ormai a trovarsi.
Non fa eccezione il singolare romanzo poliziesco “Il cadavere assassino” di Giorgio Meirs uscito, nel 1968, all’interno della collana “I nuovi Sonzogno”. La prima edizione (sempre Sonzogno) del 1914 è irrintracciabile (solo tre le copie note) mentre la seconda, ristampa della precedente del 1933, risulta disponibile sul sistema OPAC SBN in sole cinque copie (a Firenze, Milano, Napoli, Varese, Torino) ed è, parimenti, rarissima.
Qualche copia della stampa del 1968 è disponibile, per pochi euro, su “ebay”; le altre due, ammesso sia possibile rinvenirle, richiederebbero, viceversa, un esborso decisamente maggiore.
Giorgio Meirs è autore decisamente sottostimato: per alcuni è solo un clone di Conan Doyle, per altri meriterebbe ben altra considerazione in considerazione del proprio stile e di una narrazione particolarmente avvincente. Oggi invece è, in pratica, del tutto dimenticato. L’autore, di origini francesi (nacque nel 1878), dopo aver dato prova di una notevole poliedricità fondando riviste e facendosi conoscere come illustratore, iniziò una cospicua produzione di romanzi polizieschi proponendo con successo al pubblico, all’inizio del XX secolo, le avventure di William Tharps, un intrepido detective. Tra il 1914 ed il 1924, Giorgio Meirs diede alle stampe ventidue romanzi il cui protagonista era il citato indagatore oltre ad un piccolo gruppo di altri libri (qualche ulteriore romanzo con le avventure di un altro detective e poco altro). Morì nel 1962 senza aver più scritto nulla. Questa sua misteriosa perdita di (supposta) capacità creativa avvalora le tesi dei detrattori che tendono a denigrare Gorge Meirs riducendolo, come accennato, ad un mero imitatore di Conan Doyle. In effetti William Tharps somiglia un po’ troppo a Sherlock Holmes: si affida all’inflessibile logica deduttiva, è un esteta, ha un inseparabile amico, l’avvocato Pastor Lynham (affine al dottor Watson) ed ha un acerrimo nemico, Ludovic Marmont (che presenta anche troppe analogie con il dottor Moriarty). Le avventure di William Tharps sono caratterizzate da elementi tipici del romanzo poliziesco “realista” e da aspetti più fantastici (e metafisici), quali il castello maledetto, gli omicidi compiuti da fantasmi, gli oggetti soprannaturali, i trabocchetti, le stanze segrete, i sudari mortuari e tutti gli elementi precipui del romanzo gotico) il tutto ben amalgamato dal sensazionalismo che tanto affascinava i lettori delle “dime novels” dei primi decenni del 1900. Le trame dei romanzi di Meirs, dei cui volumi lo stesso disegnava anche le copertine, sono corroborate da elementi propri dei romanzi di spionaggio che contribuiscono ad accelerare anche la trama e la narrazione che, mai, si mostrano lente o ripetitive (il merito è ascrivibile, anche, all’abile traduttore della Sonzogno, Pio Piucco, che con un’accurata scelta lessicale, mantiene costante la - indispensabile - tensione nel lettore).

L’esordio letterario di George Meiers avviene con “Il cadavere assassino”. Un romanzo di circa duecento pagine, forse ingenuo, forse troppo affine alla produzione di Doyle, ma che contiene numerosi spunti utili ad altri autori per imbastire trame di romanzi del medesimo genere: il cadavere che uccide, apparizioni spettrali, maledizioni, travestimenti, identità doppie, etc.
La trama è, indubbiamente, avvincente. Durante un momento di “pausa” tra le vari indagini (quali, visto che si tratta del primo romanzo?) l’avvocato Pastor Lynham sfoglia un quotidiano che riporta la macabra vicenda di un efferato omicidio avvenuto a Netley e lo comunica all’amico Tharps.
Il Duca di Willingham è spirato ed i suoi congiunti organizzano una lunga veglia funebre nella chiesa locale. Sono presenti solo il sacerdote, un chierichetto e, nei locali attigui alla chiesa, il sagrestano. La chiesa è sbarrata dall’interno e nessuno può penetrarvi, data anche la tarda ora. D’un tratto, durante la veglia (anticipato da segnali premonitori quali il sudario che copriva le spoglie mortali del Duca che si agita improvvisamente davanti ai congiunti del de cuius, una candela che cade senz’apparente motivo, etc.), il Duca di Willingham (defunto ma, evidentemente, non del tutto) si alza e senz’apparente motivo, uccide il sacerdote; non pago, gli mozza un dito per, probabilmente, sottrarre il prezioso anello che il religioso indossava. Il chierichetto fugge (molto evocativa l’illustrazione di Guido Crepax nella versione del romanzo del 1968) e sorpreso dalla concitazione, il sagrestano spalanca il portale della chiesa, invocando aiuto. Accorrono numerosi passanti che, rilevato il macabro fatto, cercano il colpevole ma senza alcun proficuo esito.
Il terrore attanaglia Netley e l’eco dell’impresa del cadavere assassino, grazie alla stampa, giunge lontana. Come un deus ex machina, Tharps irrompe nel bel mezzo di congetture di tipo sovrannaturale e, accantonati fantasmi e morti redivivi (nonostante non manchino nella narrazione, apparizioni spettrali, strane luci, l’oscura cripta del castello maledetto ora in rovina ed altri elementi tipici del racconto gotico), inizia ad indagare con metodo logico, con l’amico ed assistente Pastor Lynham, naturalmente munito dell’inevitabile lente di ingrandimento con cui esamina il cadavere del sacerdote, la chiesa ed i suoi oscuri meandri. L’intervento di William Tharps sposta, progressivamente, il baricentro dalla pista “irrazionale” a quella caratterizzata da una logica speculativa e positivista più ferrea ed inflessibile. L’investigatore rileva, all’interno della chiesa, tracce di scarpe sporche di fango (sebbene non piova da mesi) ed altri dettagli molto concreti che di sovrannaturale hanno ben poco ma che, viceversa, sono del tutto alogici nella cornice delle indagini. Qualcuno spara anche a Tharps: un evidente invito di carattere intimidatorio affinché l’uomo desista dalla propria attività d’indagine (naturalmente l’esito è diametralmente opposto).
Il finale, ben congeniato, è sorprendente e si pone a metà tra il fantastico ed il razionale ma si preferisce non svelarlo, auspicando una nuova edizione di un piccolo capolavoro di inventiva e dinamismo narrativo da troppi decenni scordato.

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