Come nasce Il Piccolo e come arriva alle vostre case

 

 Si parte da un confronto di idee, si arriva con un giornale nelle case dei cremonesi. È la storia di chiunque si sia occupato di fare giornalismo su carta da qualche secolo a questa parte, dalle prime “gazete” veneziane (dal nome della moneta che serviva per acquistarle) del ‘500 ai giornali a stampa che ad Anversa uscirono ad inizio ‘600 per primi ad intervalli regolari, e poi, sempre a 4 fogli, il primo quotidiano stampato a Lipsia nel 1660, il primo impaginato a colonne comparso 5 anni dopo a Londra, e poco dopo a Parigi la prima inserzione pubblicitaria. E infine, nella vicina Mantova il primo giornale tuttora esistente, la Gazzetta di Mantova, fondata nel 1664. A Parma non sono propriamente d’accordo: il primo che ha mantenuto la stessa testata è la Gazzetta di Parma. Fatti loro.
Nel nostro Piccolo, anche noi ci siamo aggiunti, ormai da diversi anni, al lunghissimo elenco, e ci perdonerete se per una volta decidiamo di parlare soprattutto di noi.
Quel che vogliamo raccontarvi è tutto quello che sta dietro alle righe che state leggendo, e che vi fanno a volte riflettere, a volte sorridere, a volte infuriare, a volte polemizzare, a volte scandalizzare, a volte mugugnare. Complessivamente sono coinvolte in questo processo una ventina di persone.

LE IDEE

Da dove partiamo? Dall’origine delle idee. Capita, generalmente, il martedì pomeriggio, quando ci si trova nella redazione di via XX Settembre per mettere a punto il giornale che uscirà il sabato successivo. È un brainstorming, come quelli bravi chiamano il confronto tra le proposte dei presenti, non solo quelle preparate prima ma anche quelle che escono da un dibattito mirato a comprendere di quali argomenti si potrebbe trattare per interessare di più i lettori. L’obiettivo è quello di considerare che il Piccolo esce in provincia di Cremona, ma anche di mischiare temi di carattere locale con altri di più ampio respiro, nazionali e non solo. Proposito al quale ha contribuito il rapporto, iniziato quasi un anno fa, con l’agenzia nazionale Italpress che ci fornisce articoli e fotografie di argomenti nazionali ed esteri.
Lo scambio di idee avviene tra editore, direttore e i giornalisti che poi impagineranno gli articoli; subito dopo (o anche prima, su loro iniziativa) vengono coinvolti gli altri giornalisti, i collaboratori, quelli cioè che scrivono in media un articolo o anche meno per ciascun numero.
Dunque, i primi della catena ad essere coinvolti sono coloro che fanno parte della redazione, oltre all’editore. Quest’ultimo è Michele Uggeri, che due anni fa ha avuto l’ardimento di rilevare un giornale cartaceo. Il direttore è Daniele Tamburini (che questo giornale ha inventato diversi anni fa e che continua a crederci); i giornalisti che, chi più, chi meno, scrivono sul Piccolo sono Fortunato Chiodo, Benedetta Fornasari, Enrico Galletti, Massimo Malfatto, Federico Pani, Vanni Raineri, Fabio Varesi, Matteo Volpi, Alessandro Zontini.

L’AZIONE

Sulla base di quanto emerso, il mercoledì ci si muove. Vengono coinvolti i collaboratori, eventualmente i fotografi (Studio Passamonti e Ivano Frittoli) per realizzare le immagini a corredo di quello che sarà il testo, si prendono accordi per le interviste eccetera. Il tutto da casa: a causa della pandemia si frequenta il meno possibile la redazione, quindi fino al venerdì ogni giornalista si muove dalla propria abitazione. Ovviamente capita molto spesso che i piani abbozzati il martedì siano modificati: siamo un settimanale, ma quel che accade nei giorni che precedono l’uscita non può essere trascurato. Le prime pagine che vengono preparate sono solitamente quelle delle rubriche, che non rischiano modifiche per quel che accade in corso d’opera, le ultime quelle di attualità, negli ultimi mesi soprattutto riguardante i dati più freschi relativi alla pandemia.

LA LINFA VITALE

Ad inizio settimana inizia anche il lavoro dei pubblicitari, il cui ruolo è fondamentale per un giornale come il nostro che vive unicamente di pubblicità, essendo disponibile gratuitamente e non disponendo di alcun tipo di finanziamento pubblico. Davide Di Odoardo, Lorella Galanti, Serena Moroni e Alessandro Rigoli sono coloro che contattano e coinvolgono gli inserzionisti, garantendo loro gli spazi in pagina che consentono di promuovere i loro prodotti. La presenza degli sponsor è essenziale, linfa vitale per il Piccolo, ancor più di quanto avvenga per altre pubblicazioni, ed è per questo che non li ringrazieremo mai abbastanza per la fiducia che ci concedono. Per perfezionare i contratti, entra in gioco chi si occupa dell’amministrazione e della fatturazione, vale a dire Stefania Demicheli.

LA LIBERTÀ

La proprietà del giornale è di un’agenzia pubblicitaria, Uggeri Pubblicità, così come avveniva nell’esperienza precedente al 2019. Possiamo dire che siamo una mosca bianca nel panorama cremonese, anomalia anche italiana, in quanto l’editore del Piccolo è un cosiddetto editore puro, nel senso che esercita attività esclusiva e non con interessi prevalenti in altri settori. È stato più volte sottolineato come la presenza di un editore puro consenta maggiore libertà a chi scrive, ed è un grande vantaggio sia nostro che, di riflesso, dei nostri lettori. È evidente che appartenere ad un gruppo industriale, ad un grande imprenditore, ad un’associazione, comporta un condizionamento pesante: d’altra parte molto spesso l’attività editoriale è un segmento in perdita di una proprietà che gli utili li ottiene altrove, e il controllo dell’informazione, nazionale o locale che sia, è considerato prezioso proprio per la possibilità di indirizzare l’opinione pubblica.
La libertà è un bene prezioso, non ne andrebbe sprecata nemmeno una goccia. Non facciamo gli ingenui: tutti subiscono condizionamenti, e pure noi dobbiamo cercare di non pestare troppo i piedi alle persone “sbagliate”, anche se il pressing di un datore di lavoro potente non può essere considerato alla stregua del favore chiesto da un inserzionista. La nostra aspirazione è di non avere preclusioni, raccontando i fatti con obiettività, presentando più facce della stessa medaglia. Un’aspirazione decisamente alta e irraggiungibile, come dire che si punta alla perfezione: sappiamo di non riuscirci, ma avere davanti un obiettivo così elevato aiuta a scoprire la direzione da prendere. Ognuno di noi, con le proprie sensibilità, valuta con diversa ottica notizie e posizioni politiche, e a volte quando si dibatte lo si fa con vigoria, ma resta ferma l’intenzione di arrivare ad una lettura dei fatti visti da visuali diverse, anche con un approccio disincantato e ironico. È così che intendiamo conquistare la fiducia dei nostri lettori, d’altra parte, come diceva quell’antico spot, “la fiducia è una cosa seria, che si dà alle cose serie”.

IL VESTITO

La veste grafica è molto importante. Le pagine vengono realizzate al computer dai giornalisti con contratto di assunzione a tempo indeterminato, come prescrivono le norme, sulla base di format già predisposti. Praticamente, a seconda di come si intende impaginare (il taglio e l’importanza delle foto, il numero di articoli, la lunghezza del testo, la presenza di spazi pubblicitari eccetera) si sceglie dal book il modello più adatto. Una volta abbozzata, e fatti titoli e didascalie, la pagina viene spedita ai grafici, che si occupano (senza entrare in dettagli troppo tecnici) di trasformarla in una versione che possa essere inviata alla tipografia. Nel contempo, il pdf di quella pagina è inviata ad almeno tre colleghi, per verificare che non ci siano evidenti errori grammaticali o di battitura, che il titolo non sia fuorviante e non abbia ripetizioni, che la fotografia sia ben inquadrata eccetera. Una volta avuto il triplo via libera, viene poi passata sotto la lente di ingrandimento di Angioletta Uggeri, che è ben più di una correttrice di bozze (quanto manca questa figura ai giornali anche nazionali…), e legge tutti i testi per evitare che contengano errori, inoltre spesso suggerisce anche modifiche che li migliorino.
Preso atto degli errori, dopo averli corretti, la pagina è inviata ai grafici. Si tratta di Gianluca Galli e Lorena Galli, i quali importano le fotografie nel giusto formato e confezionano la pagina nel mondo idoneo per poi essere inviata alla tipografia.

LA STAMPA

Ogni venerdì sera, entro le ore 21, con la prima pagina, che è l’ultima ad essere spedita, vengono consegnate tutte le pagine alla tipografia, che è l’Industria Grafica Editoriale Pizzorni di Claudio Pizzorni. Si trova in via Castelleone, quindi in città, il che consente all’intera attività di non uscire mai dai nostri confini. Di lì a poco inizia la stampa del giornale: le diverse migliaia di copie vengono prodotte dalle rotative nel giro di un’ora circa. Prima vengono realizzate le cosiddette lastre che consentono l’impressione indiretta: con l’utilizzo di rulli che applicano l’inchiostro di 4 colori (da qui il termine quadricromia) prende forma il giornale, che viene poi ritagliato alla perfezione (prima è sempre necessario effettuare una serie di prove, quello che in gergo è chiamato “avviamento macchina”, che comportano lo scarto di parecchia carta, come si vede nella foto in pagina), tagliato, rifilato e ripiegato nell’ordine delle pagine per essere confezionato così come lo troviamo tra le nostre mani il mattino seguente. L’ultimo procedimento meccanico è la creazione di pacchi da 25 copie.

LA DISTRIBUZIONE

A questo punto i pacchi sono pronti per la distribuzione. Se ne occupa Pasquale Dicuonzo, che si reca in tipografia per ritirare le copie e inizia la distribuzione, che si concluderà alle prime ore del mattino del sabato. La maggior parte delle copie è distribuita in città, alcune migliaia nel Casalasco, sia a Casalmaggiore che in altri 15 paesi del territorio. I giornali vengono inseriti nei dispenser (o porta giornali, o raccoglitori) in metallo che sono quelli in cui li trovate il sabato mattina.
Chi dite? Vi sembra un lavoro bellissimo? È vero che il lavoro degli altri sembra sempre più bello, ma è proprio così. Il nostro è un lavoro bellissimo.

LA TIPOGRAFIA

Bobine, rulli e quel profumo d’inchiostro
«Il focus? L’hai già chiuso il focus? Telefona subito in tipografia, c’è un’ultim’ora, bisogna richiamare la pagina». Che se però nel frattempo è già una lastra, pronta per la stampa, allora è un mezzo guaio. Le pagine arrivano in tipografia un po’ alla volta, sempre nell’arco del venerdì pomeriggio che precede l’uscita. Fino allo scoccare dell’ora X, quando tutti i pezzi, le foto e le pubblicità che andranno comporre il giornale devono già essere chiusi e trasformati, appunto, in lastre: la base da dare in pasto alle rotative per far partire la stampa. Gli scenari sono due. Se all’ora X ci arrivi in anticipo (caso raro), allora sei fortunato e tendenzialmente ti fai anche ben volere dai poligrafici. In quest’ultimo caso, vedi i giornalisti prendersi l’ultimo caffè della giornata al grido di: «Toh, per una volta siamo avanti!». Se sei in ritardo - perché le notizie sono arrivate tutte all’ultimo - la musica cambia: si corre, si deve solo correre (e rispondere alle chiamate della tipografia che sbuffando fa il countdown). Ognuno manda le sue pagine: lo sport, la cultura, la cronaca, gli speciali… poi alle otto di sera ci si ritrova tutti in cerchio attorno a un pc per mettere insieme la prima pagina e decidere il “titolone”. Quella parola: “Rotative!” non la si dice più, non è come nei film americani, oggi la si dà per scontata. C’è comunque il momento in cui, raccolti tutti i “sì” dei redattori che rileggono la “prima”, si dà il giornale alle stampe. A quel punto le luci della redazione si spengono ma si accendono quelle della tipografia, a qualche chilometro da qui. I giornalisti vanno a casa, i tipografici attaccano. E lì partono le prime prove, si aziona la macchina: una gigantesca linea che parte dalle bobine di carta e va dall’inchiostro alla piegatrice. Nell’aria il profumo di stampa e il rumore delle prime prove, perennemente sbagliate - un titolo mozzato, una foto tagliata in due, una parola della quale non si distinguono le lettere - ma necessarie perché il prodotto finale sia il migliore possibile. Fatte le prove, via. Parte la stampa. All’inizio lenta, poi veloce come se qualcuno pigiasse sull’acceleratore per arrivare prima nei raccoglitori. Per stampare Il Piccolo ci vuole poco più di un’ora. E quell’ora è fatta di chi controlla che non manchi la carta, che nulla si inceppi, è fatta di chi risolve gli imprevisti, di chi fa spegnere le spie di errore che si accendono e spengono a intermittenza. «Un tempo tutto questo si faceva a mano», dice un operaio mentre fissa la lama che con una precisione millimetrica taglia i fogli del giornale. In fondo alla “catena”, c’è un suo collega che raccoglie le copie appena “sfornate” e le posiziona ordinatamente sui bancali. Dopo un’ora a “impacchettare”, guarda l’uomo che sta dall’altro capo del capannone e con le braccia fa il gesto dello “stop”. Ci metterà trenta secondi a spegnersi, la macchina. Arrivati. Il profumo di inchiostro no: quello resta nell’aria per ore. Anche il turno degli operai finisce sfogliando il giornale, mangiando patatine e leggendo quel titolo di testa scritto da noi che nel frattempo siamo andati a dormire. Fa capolino un altro signore, intanto: lui si è svegliato da poco e il suo turno, che comincia ora, è in giro per la città a distribuire i giornali. Così il giorno dopo, come per magia, i raccoglitori saranno pieni. Mentre la città si sveglia, la macchina infernale dorme, i tipografici disegnano il timone del prossimo numero e i giornalisti boh, si preparano alla maratona del venerdì successivo dicendo la solita frase: «La prossima volta chiudiamo un’ora prima!». Ma non ci credono neanche loro. Perché è il (solito) patto che mette d’accordo tutti. E a volte illude le famiglie che per un giorno si riuscirà a cenare insieme. 

Commenti

Posta un commento