Primo Maggio, le nuove sfide

 LAVORO • Intervista al segretario provinciale della Cgil Marco Pedretti: riders, caso Amazon e non solo

Per il secondo anno consecutivo, le manifestazioni del Primo Maggio si terranno in tono minore. Sia il concertone romano sia gli altri eventi nazionali si svolgeranno con l’ormai tradizionale (ma che speriamo di abbandonare presto) modalità virtuale. Ciò non toglie che il contenuto di questa giornata celebrativa rimanga intatto, ed anzi si nutra di nuovi contenuti, che riguardano non solo le conseguenze della pandemia sull’occupazione, ma anche la presenza sempre più corposa di lavori scarsamente tutelati.
Ne parliamo col segretario provinciale della Cgil Marco Pedretti.
«Come per il 25 aprile - esordisce Pedretti - dovremo rinunciare agli eventi tradizionali. Abbiamo però rilanciato le parole del nostro segretario generale Maurizio Landini, “L’Italia si cura con il lavoro”, facendone lo slogan di questo Primo Maggio, poiché la normalità si avrà una volta vaccinati i cittadini e dando loro sicurezza grazie al lavoro. Mi vengono tre riflessioni. Per prima cosa vorrei ringraziare il personale sanitario poiché dall’inizio della pandemia ha fatto uno sforzo incredibile dando dignità alla sanità pubblica. In secondo luogo dico che dobbiamo proteggere il lavoro: oltre a concedere la proroga dei licenziamenti sino a fine pandemia, va riprogettato il lavoro per i tanti precari che hanno pagato il prezzo più alto, soprattutto giovani e donne. Infine penso alla qualità del lavoro: veniamo da una fase ante-pandemia con disuguaglianze che aumentavano e forme di lavoro precarie e povere sempre più frequenti. Se pensiamo a un futuro tecnologico e green, credo ci siano elementi per valorizzare la qualità del lavoro: la realizzazione della persona passa anche dalla sua attività».
Parlando di tutela dei diritti, la giustizia amministrativa ha stabilito recentemente che i riders sono dipendenti e non autonomi, chiedendo l’assunzione di 60mila lavoratori e prevedendo sanzioni pesanti per il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Crede sia un passo avanti positivo?
«È nella tradizione del nostro Paese purtroppo trovare forme di lavoro precario, come dimostra prima il boom dei contratti di collaborazione e oggi dei riders. Questo diventa un problema: quando parlo di consapevolezza e qualità del lavoro mi riferisco proprio a questo. In Italia abbiamo più di 800 contratti nazionali, ognuno se lo cuce su di sé. Servono regole precise, serve una legge di rappresentanza per sapere chi può firmare i contratti e una applicazione erga omnes con l’obbligo di applicarli, i contratti. Poi giustamente serve prevedere forme di flessibilità ma in un quadro ben definito, sulla base dei bisogni delle imprese. Ad oggi la competizione è stata fatta sul costo del lavoro».
Spesso gli imprenditori lamentano che la concorrenza sia ormai globale, e siamo al solito problema dei costi che in altri paesi sono molto più bassi.
«Abbiamo un problema enorme con multinazionali che fanno profitti pazzeschi, ma abbiamo visto anche da noi le esternalizzazioni, gli appalti al ribasso eccetera: temi che da tempo poniamo alle istituzioni senza avere riscontro».
Quanto al caso Amazon, abbiamo assistito ai primi scioperi in Europa, con l’Italia che ha fatto da apripista, ma l’ultima notizia è quella dei dipendenti Usa che in netta maggioranza hanno rifiutato la presenza del sindacato.
«Diciamo subito che le organizzazioni sindacali statunitensi e italiane sono molto diverse. Noi  abbiamo avviato una campagna su Amazon con tutte le difficoltà di avere di fronte un’azienda nuova con forte precarietà e la mancata abitudine alle relazioni sindacali. L’ultimo sciopero è andato molto bene: un’azienda che lavora sulla comunicazione è stata sconfitta con lo slogan “più diritti e più dignità al lavoro”. E’ un percorso lungo in cui inciderà il ruolo della politica: o voltiamo pagina impegnandoci tutti per avere un lavoro dignitoso e diritti riconosciuti, oppure avremo solo il lavoro senza guardare alla qualità, ma avremo fatto passi indietro. Sappiamo che entrare nelle aziende che non hanno una storia sindacale non è semplice, ma ci impegneremo, e non mi riferisco solo ad Amazon».

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