IL DRAMMA • L’ex primario del Poma si è tolto la vita martedì. Ricordiamo la sua relazione a Piadena
Vanni Raineri
Alle tante persone che l’hanno seguito e apprezzato nelle sue apparizioni televisive, frequenti ma durate poche settimane, fino a quelle che giusto un anno fa avevano gremito il chiostro dei Gerolamini di Piadena, quando fu ospite del Rotary Club Piadena Oglio Chiese che lo nominò socio onorario, resterà il ricordo di una persona speciale, sensibile e altruista, e resterà il rumore di quell’applauso finale che, come scrivemmo allora, sapeva di grande ringraziamento.
Giuseppe De Donno si è tolto la vita martedì, all’età di 54 anni nella sua casa di Curtatone dove viveva con la moglie e i due figli. La Procura di Mantova ha aperto un’inchiesta per appurare che non sia stato spinto al gesto estremo da qualcuno. Dal 2018 era primario di Pneumologia all’ospedale Carlo Poma di Mantova, incarico che ha ricoperto fino a un mese fa, quando maturò la scelta, certo inconsueta, di dimettersi per andare a fare il medico di famiglia a Porto Mantovano.
Quando il Covid-19 decise di fare del nostro territorio nella Bassa Padana l’epicentro europeo della pandemia, il dottor De Donno sembrò l’uomo giusto nel posto giusto al momento giusto. Estrapoliamo qualche passaggio del suo discorso a Piadena: «Siamo diventati tutti un po’ cardiologi, un po’ neurologi, un po’ pneumologi. In Lombardia abbiamo fatto un miracolo, e ogni volta che sento criticare la sanità lombarda mi piange il cuore. Ricorderò sempre la notte del 20 febbraio al Pronto Soccorso: ero tornato a casa alle 2 di notte, e appena arrivato mi telefona la direttrice sanitaria. “Devi tornare“ mi dice: erano arrivate al Pronto Soccorso 110 ambulanze, i barellieri scaricavano pazienti senza nome e ripartivano. Venivano da Cremona, Crema, Casalmaggiore, Bergamo. Ma non abbiamo abbandonato mai nessuno, nessuno è morto da solo».
E ancora: «Quella notte non avevamo armi, e pensammo che sarebbe servito un progetto per combattere il virus. Il direttore dell’ospedale di Asola andò dal dottor Franchini dicendo che serviva un proiettile magico. Da lì l’idea: “Perché non proviamo a usare il plasma?”. L’unica sperimentazione che stava per partire era a Pavia col dottor Perotti. Ebbene, loro due in 4 giorni ci hanno consegnato un protocollo approvato in soli 2 giorni: mai successo prima».
Iniziò così la raccolta del plasma dai convalescenti, cura che diede da subito grandi risultati. «L’avessimo usato subito, il plasma avrebbe potuto salvare 10mila persone». E da lì De Donno lancia un messaggio di speranza al mondo, ma mentre dal mondo lo chiamano da almeno 15 Paesi, il suo Paese inizia a criticare i suoi metodi e a snobbarlo. E questo di certo lo ha fatto soffrire, lui che nei periodi più duri lavorava anche 18 ore al giorno senza tornare a casa a dormire. Era convinto della bontà della “sua” cura, e per la raccolta del plasma aveva mobilitato parecchie sezioni Avis, anche nella nostra provincia.
Oggi sui social si trova di tutto: dubbi sul suicidio, no-vax all’assalto, accuse alle case farmaceutiche perché la sua cura le avrebbe danneggiate, ma soprattutto tanto cordoglio. Ed è giusto oggi limitarsi a questo: non è facile entrare nella mente di una persona per dare un motivo ad un gesto estremo, ed è difficile pensare che sia stato dettato da soli motivi professionali.
A Piadena chiuse la serata con la speranza di un vaccino, e proprio lui, che si è vaccinato, disse «Ripartiamo» a fine dicembre, quando al primo Vax-Day del Poma si vaccinarono 50 persone.
Certamente era stanco degli attacchi subiti, amareggiato soprattutto da quelli dei colleghi, tanto da dire: «Il giuramento di Ippocrate è diventato il giuramento di Ipocrita».
Il 5 luglio aveva iniziato il lavoro di medico di base a Porto Mantovano, affermando: «L’esperienza del Covid mi ha cambiato e oggi cambio vita». Voleva stare vicino ai pazienti e forse avere meno stress.
«Questo è un virus terribile» disse dopo aver affrontato i primi durissimi mesi. Perché resta a Mantova nonostante le tante offerte dall’estero? «Perché è una sfida» rispose. In accordo con l’Asst di Mantova aveva chiuso il suo profilo Facebook. Già vice sindaco di Curtatone, si era ipotizzata la sua candidatura a sindaco di Mantova su spinta della Lega di Salvini, ma non se ne fece nulla.
«Sono stato accusato di cercare notorietà - disse anche a Piadena -, ma spero che ci si dimentichi in fretta di me». Non accadrà.
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