Gigi Arrigoni, il signore del canottaggio

L’OSPITE IN REDAZIONE



FABIO VARESI
Gigi Arrigoni è sinonimo di canottaggio. Per quasi 50 anni allenatore della Bissolati e dalla fine degli anni 90 anche tecnico federale, ha allenato centinaia di ragazzi, alcuni dei quali sono arrivati ai vertici mondiali. A 73 anni non sembra però accusare la fatica ed anzi mostra una passione che non gli fa pesare le lunghe trasferte con la Nazionale (l’ultima a Belgrado per i Mondiali 2023).

Gigi, da dove nasce questa tua passione?

«Sono nato vicino a Castelleone, ma a sei mesi di età la mia famiglia si è trasferita a Cremona in una cascina vicino al fiume, un segno del destino. Inoltre, avevo uno zio socio alla Bissolati, che a 14 anni mi ha spinto a praticare il canottaggio, dopo gli esami di terza media. In pratica ho gareggiato dal 1964 al 1976, ma dal 1972 ho iniziato a guidare il pulmino, dando una mano agli allenatori. A livello agonistico, mi sono fermato alle gare nazionali. Vi voglio raccontare un aneddoto legato al periodo di atleta: ero stato appena assunto all’Inps, quando mi hanno chiamato per fare uno spot con la mia barca (il due con, per intenderci quello dei fratelli Abbagnale) e dopo aver ottenuto il permesso al lavoro, insieme al compagno di equipaggio della Bissolati, Giorgio Superti, sono stato protagonistia dello spot dal titolo “due con Certosino Galbani”, andato in onda al mitico Carosello per due anni di fila. Ecco perché da allora sono soprannominato “Certosino”. Dalla metà degli anni 70 ho quindi iniziato ad allenare alla Bissolati ed ho lasciato dopo ben 47 anni nel settembre del 2021. Inoltre, dal 1997 collaboro con la Federazione di canottaggio».

Hai allenato centinaia di ragazzi: che ricordi hai?

«Tutti belli, anche nelle sconfitte. Mi dispiace solo per quei ragazzi che non sono riuscito a tenere come atleti, anche solo per un mese. Mi accorgo con il passare del tempo di quello che ho fatto come allenatore. Per esempio, tornando da Belgrado si blocca il telepass all’uscita autostradale di Cremona e allora mi reco al Punto blu, dove una donna mi chiede: «Lei allena ancora?». Poi scopro che è la mamma di un mio atleta. Poi vado al supermarket e una signora si avvicina e mi dice che è la manna di un altro atleta. Quindi vado alla Bissolati dove trovo il padre di Giorgia Arata (atleta del Flora), con il quale mi fermo a parlare di canottaggio e così via. Insomma, in 47 anni a una media di dieci atleti all’anno, fate un po’ i conti di quanti ragazzi ho allenato. Inoltre, ricordo che sono stato precursore del progetto “100 ore”, finalizzato alla promozione del canottaggio nelle scuole, grazie al quale molti studenti si sono avvicinati al nostro sport».

Con tre tuoi pupilli (Nicola Sartori, Giacomo Gentili e Valentina Rodini) hai raggiunto i vertici mondiali: che emozioni hai provato?

«Emozioni incredibili. Già andare alle Olimpiadi è un grande traguardo e poi vincere una medaglia è stupendo. Ricordo che ero a Zagabria e il direttore tecnico Giuseppe La Mura (il mitico zio degli Abbagnale) mi ha invitato ai Giochi di Sydney nel 2000, ma ho preferito stare con i giovani. La prima medaglia è il bronzo di Nicola in doppio a Sydney, bissata ai Mondiali del 2001 a Lucerna. Poi ha preferito cambiare vita ed ha lasciato il canottaggio. Al momento ci sono rimasto un po’ male, ma capivo la sua scelta. Nel 2018, invece, ero insieme alla mamma di Giacomo, quando il quattro di coppia sembrava non andare e poi ha sprigionato i suoi cavalli per vincere l’oro iridato a Plovdiv. L’errore di Tokyo ci può stare, anche se per me è stata una grande delusione, perché potevano andare sul podio. Valentina, infine, era uno scricciolo da cadetta, ma l’ho vista crescere sempre di più fino ad arrivare all’oro a Tokyo, dove ha fatto una bella gara, battendo una grande concorrenza. Io ero quasi sulla linea d'arrivo, vicino al tabellone, non vi descrivo l’incertezza sull’esito finale dopo la rimonta, ma quando ho visto che era oro, è esplosa la mia gioia. Ricordiamo che la Rodini è stata la prima atleta italiana, insieme a Laura Milani, a partecipare alle Olimpiadi nel canottaggio (a Rio de Janeiro 2016), a conferma del suo valore».

Dopo tanti anni hai lasciato la Bissolati, come mai?

«Perché ho trovato Luca Manzoli, che è stato un mio atleta e che era libero dopo l’esperienza alla Baldesio e quindi formava un bel team con Davide Magri. Per me è stato un sollievo, anche se si è trattato di una scelta dolorosa, ma indispensabile».

Che emozioni provi a far parte dello staff della Nazionale?

«Sono il responsabile del materiale e mi sento importante, perché mi chiedono tutto, anche se per me è ormai normale. Quando torni dalle trasferte parti all’alba ed anche se è molto impegnativo, è sempre appagante».

Come vedi i tre azzurri cremonesi (oltre a Gentili e Rodini, anche la casalasca Alessandra Montesano) in vista di Parigi 2024?

«Il quattro di coppia della Montesano credo possa farcela a qualificarsi, mentre per il doppio pesi leggeri di Valentina sarà dura, perché per colpa delle onde ai Mondiali di Belgrado, si sono qualificate alcune barche meno forti e quindi ai ripescaggi olimpici ci saranno le migliori nazioni, come la Francia argento a Tokyo, quindi sarà più complicato. Giacomo, invece, ha già il pass grazie all’argento iridato ed anche se temo che l'Olanda sia irraggiungibile, lui è molto bravo anche a livello tattico e quindi può puntare anche a vincere. La cancellazione olimpica dei pesi leggeri? È sbagliata perché quelli che pesano meno, abbandoneranno sicuramente il canottaggio. Ripensamenti? Non credo, anche perché si punta molto sul coastal rowling, che garantirà spettacolo, anche se è un’altra cosa».

Ci sono potenziali campioni nelle nuove leve?

«Direi di sì. Per esempio, Gennaro Di Mauro ha fatto delle belle gare, anche se è impegnato negli studi in America e poi ci sono gli atleti dell’otto, che vedremo sicuramente nel 2028. Anche a Cremona c’è un buon movimento e i vivai sono floridi in tutte le canottieri».

È più difficile lavorare con i giovani di oggi?

«Ora i ragazzi hanno molti più interessi. Pescare nelle scuole è più facile, ma il problema sono le famiglie che non possono garantire i trasferimenti. Quando sono più grandi, si spostano da soli, ma in generale i genitori sono molto impegnati rispetto al passato e poi i ragazzi praticano molte altre attività. Il mondo sta cambiando e secondo me è sempre più difficile fare sport. Nelle donne specialmente, perché tante vanno a studiare negli Stati Uniti».

Per concludere, ci sono sinergie tra Cremona e Casalmaggiore?

«Sì, abbiamo creato equipaggi misti e la collaborazione esiste anche tuttora tra le varie società».

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