Guarneri ricorda Riva e il loro calcio estinto

CALCIO: L’INTERVISTA - L’ex difensore cremonese di Inter e Nazionale ci racconta l’uomo e il campione del Cagliari, con il quale ha vinto l’Europeo del 1968


FABIO VARESI

 


Quante volte abbiamo sentito parlare di un calcio più umano, che non esiste più. Una nostalgia che emerge ogni volta che accade qualcosa di spiacevole legato allo sport più amato, come i cori razzisti negli stadi o giocatori che scommettono sulle partite e così via. Ma la scomparsa di Gigi Riva ci riporta con tanta tristezza ai tempi passati e probabilmente lo fa anche chi quei momenti non li ha vissuti, ma solo appresi sui libri o dai propri genitori. Sì, perché “Rombo di tuono” (dalla definizione di Brera dopo Inter-Cagliari del 1970) è stato celebrato come campione, ma anche come uomo tutto di un pezzo, che ha voluto rimanere a tutti i costi in Sardegna, rinunciando a gloria e denaro, pur di non tradire un popolo che lo ha accolto come un figlio. Un “hombre vertical” come lo definiscono i sudamericani, che fa impallidire tante mezze figure, che si atteggiano a campioni pur essendo solo mestieranti, che ostentano la loro ricchezza sui social. Tra gli eroi pallonari di quei tempi, c’è sicuramente Aristide Guarneri, cremonese doc e stopper (come si definiva allora) di grande livello dell’Inter di Herrera e compagno in Nazionale di Riva. A Guarneri (86 anni a marzo), che ha concluso la sua brillante carriera con la Cremonese, abbiamo chiesto com’è cambiato il calcio dai suoi tempi: «È cambiato tutto, il modo di giocare ma soprattutto i rapporti umani, a causa dei soldi che hanno rovinato il nostro sport. Qualcuno bravo che pensa solo a giocare c’è ancora, ma faccio fatica a dare tutte le colpe a chi fa scelte solo in funzione del denaro, quando te ne offrono tanto. Rispetto al passato si gioca troppo, ogni tre giorni, e un po’ di poesia si è persa. Inoltre, i giovani hanno sempre in mano i telefonini, mentre noi giocavamo con la palla contro il muro, quando non era possibile sfidarsi in campo. Insomma, tutto è cambiato e in peggio».
La scelta di Riva di non tradire il Cagliari, stride ancora di più ai giorni nostri: ne avete mai parlato con lui in Nazionale?

«A quei tempi noi giocatori sapevamo poco o nulla delle trattative tra società, quindi non se ne parlava, anche se poi abbiamo saputo che lo voleva la Juventus, mentre nella mia Inter non avrebbe avuto spazio, perché a Herrera non piaceva e non ho mai saputo i motivi. Riva era un tipo particolare, nel senso buono del termine, perché era una brava persona, buono come il pane, disponibile e mai altezzoso. Con lui ho vinto l’Europeo del 1968, un ricordo magico contro una grande Jugoslavia, che nella finale ripetuta ha cambiato un solo giocatore, mentre noi abbiamo inserito cinque elementi freschi, tra i quali proprio Riva che ha segnato il gol dell’1-0. Gigi era bravo, forse il miglior attaccante che l’Italia abbia mai avuto, perché sapeva fare tutto. In campionato non l’ho mai marcato e meno male, perché ai tempi il numero 11 veniva affidato al 2 e quindi lo prendeva sempre in consegna Burgnich, ma qualche contrasto in partita lo abbiamo avuto e ricordo che era molto forte fisicamente, ma corretto».

Negli ultimi anni vi siete sentiti?

«Sì, ogni tanto gli telefonavo, soprattutto per gli auguri di Natale e Pasqua, era sempre molto gentile e disponibile. Telefonate brevi, senza parlare di calcio».

In queste ultimi due giorni ha ceduto alla tentazione di rivedere i filmati delle vostre gesta?

«No, mi bastano le partite di oggi ed in particolare non mi perdo mai quelle delle mie amate Inter e Cremonese».

Un ultimo ricordo di Gigi Riva?

«Nelle sua carriera è stato molto sfortunato, visto che ha subìto due gravi infortuni in Nazionale e in occasione del primo, nel 1967 a Roma contro il Portogallo, io ero in campo e ricordo la sua sofferenza, ma anche la determinazione con la quale si è sempre risollevato. Mi dispiace molto che ci abbia lasciato».

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